È uscito alle fine del 2018 grazie a Solferino L’ultima notte di Willie Jones di Elisabeth H. Winthrop, una lettura che appare ancora più necessaria dopo il caso della brutale uccisione di George Floyd e il movimento di protesta internazionale “Black lives matter”che ne è seguito.
Il romanzo, ambientato nell’America degli anni Quaranta si sviluppa attorno a una questione che cominciava allora a dividere l’opinione degli americani: la vita di un nero vale quanto quella di un bianco? La risposta era affermativa soltanto per la legge, ma non per la gente. La legge, tuttavia, era applicata dalla gente e quando è l’opinione di una giuria a decidere la vita o la morte di un uomo, allora nell’America sudista post-Depressione i pregiudizi e l’odio razziale vincevano su tutto, perfino sulla morale cristiana comunque presente.
Se pensate subito a Il buio oltre la siepe non siete in errore: l’ambientazione è quella, l’atmosfera pure, e perfino il caso giudiziario e alcune svolte narrative.
Qui siamo in Lousiana, nel 1943, e si parla della condanna a morte di un ragazzo nero appena maggiorenne, accusato di aver abusato di una ragazza bianca. L’attesa e poi l’esecuzione della sua condanna è raccontata attraverso il punto di vista di molti personaggi, tra cui il procuratore e il suo giovane figlio, su cui esploderà il risentimento dei più conservatori e razzisti.
A emozionare di più sono le pagine in cui conosciamo il punto di vista del condannato Willie Jones, una vittima arrendevole di una società razzista che ha già deciso la sua condanna nel momento in cui è nato. La sua vita segnata soltanto dal duro lavoro e da umiliazioni, non poteva che culminare in una giustizia sommaria.
Il racconto è corale, il narratore è sempre alla terza persona, ma interno e questo permette all’autrice di mantenere una coerenza formale. Dal punto di vista narrativo la coesione è minore, perché si ha l’impressione che le voci siano troppe e il risultato che ne consegue è una cacofonia che rallenta l’incedere di quella che sembra una solenne e inesorabile marcia funebre.
A lettura conclusa, non possiamo non pensare a quel classico di Harper Lee che da sessant’anni mantiene un ruolo cruciale nella letteratura americana: Il buio oltre la siepe, che ha vinto un Pulitzer nel 1960 e ha ispirato un film altrettanto ben riuscito e premiato. Nel 2007 la presidenza americana ha voluto assegnare a quest’opera un altro premio, la medaglia della libertà, “per aver influenzato il carattere del paese in meglio e per essere stato un dono per il mondo intero ma anche un modello di buona scrittura e sensibilità umana che ne faranno un libro letto e studiato per sempre”. Parole giustissime, che oggi assumono ancora più valore.
Il romanzo narra infatti le vicende, raccontate in prima persona, di una bambina, figlia di un avvocato costretto d’ufficio a difendere Tom Robinson, un nero accusato di aver stuprato una ragazza bianca. Siamo nell’Alabama degli anni Trenta e la giuria, composta da contadini analfabeti e razzisti, voterà la morte del giovane, in realtà innocente. Ma è la sua parola contro quella di una donna bianca.
Stesso discorso vale per il Willie Jones al centro del romanzo della scrittrice Withtrop, a sua volta ispirato a due condannati realmente esistiti: sappiamo che l’accusato è innocente, ma per lui non c’è scampo. Quando a prevalere sono l’odio e i pregiudizi, a rimetterci sono gli innocenti, che sia un condannato giudicato solo per il colore della propria pelle o un bambino, punito soltanto perché figlio di un procuratore o di un avvocato che tentano di far capire all’opinione pubblica che stereotipi e pregiudizi non sono sempre il miglior metro di misura per giudicare una persona.
A questo punto il nostro consiglio è di riprendere tra le mani questo classico indimenticato, Il buio oltre la siepe, che al di là del valore morale e della serietà del tema, è in qualche modo anche un concentrato di spensieratezza e innocenza, e abbinarci poi la lettura del romanzo della giovane Elisabeth H. Winthrop, che invece non cerca minimamente di stemperare la tragicità dei fatti.
Carlo Crotti
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