L’ultima proposta animata by Netflix è The Midnight Gospel, una serie che si propone non come un qualcosa da vedere quanto piuttosto una qualcosa direttamente da rivedere.
Sì, perché The Midnight Gospel non tratta argomenti sconosciuti ai più, ma si limita “semplicemente” a grattare via la crosta sulle nostre convinzioni, lasciando spurgare pus e – si spera – qualche rivelazione sul senso della vita, dell’amore, della morte e di tutte quelle sciocchezzuole che ci accompagnano durante il viaggio.
Il parco offerto da Netflix è sempre più vasto, soprattutto per quanto riguarda le serie animate, e a tratti raggiunge livelli qualitativi notevoli: Rick and Morty ci mostra infiniti multiversi per abbassare la nostra pretesa di unicità, Bojack Horseman obbliga a un bungee jumping con elastico invisibile la nostra visione del sé, Final Space ci insegna l’importanza di non perdere mai di vista il nostro intimo obiettivo anche quando si guarda altrove, Love Death + Robots ha ridisegnato quel regno di mezzo che intercorre tra noi e la macchina…
The Midnight Gospel prova a spingersi più in là, oltre quel nulla scintillante che in attesa di parole adatte a definirla chiamiamo coscienza. La storia di per sé è lineare: il giovane Clancy utilizza un simulatore di universi per incontrare creature che vivono versioni alternative del nostro pianeta. L’obiettivo di Clancy è di intervistarle per aggiornare il suo spacecast e raggiungere la notorietà. Le creature che incontra discorreranno con lui risolvendo in contemporanea le loro faccende, sempre ai limiti del razionale. E questo è quanto.
The Midnight Gospel è una serie anomala, spiazzante, incentrata sul dissociare il sonoro dalla parte visiva. Per guardare gli otto episodi di questa prima stagione è necessaria una scelta tra il seguire le interviste di Clancy e il catalogare centinaia di riferimenti filosofici che compaiono durante il susseguirsi delle azioni. Parole e azioni sembrano viaggiare su binari paralleli e allo spettatore non resta che godersi il viaggio, proprio come succede in altre serie altrettanto strutturate su più livelli cognitivi (un esempio: la fotografia magistrale della Black lodge in Twin Peaks, che disarma lo spettatore nel momento in cui i personaggi parlano). Guardare una prima volta The Midnight Gospel significa non sentirlo affatto, così come concentrarsi sui discorsi equivale a non imprimersi che poche immagini e simboli del Tutto.
Il fine ultimo sembra dare una visione per intero di ciò che pervade la nostra esistenza e non è un caso che nei due episodi più densi della stagione – Le tartarughe dell’eclissi e Topo d’argento – Clancy intervista la Morte e lo spirito di sua madre, ridisegnando l’uroboro dell’eterno rincorrersi.
The Midnight Gospel merita una occasione, anche solo per ascoltare le riflessioni degli intervistati: non avremo in dono verità assolute – sia mai!, che senso avrebbe il dopo? – ma suggestioni e minimali rivelazioni che ci porteranno un passettino in avanti verso la consapevolezza, come profetizzava Quelo, di possedere in noi la risposta.
Luca Pegoraro
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